Quanto sta accadendo in Parlamento con
la discussione ed il voto sulla Legge elettorale è sintomatico della
crisi economica ma anche politica che stiamo vivendo. L'arroganza del
Premier decisionista e asfaltatore e il suo entourage di yes-men
lascia sconcertati. Lo spauracchio agitato davanti agli occhi
dell'opinione pubblica è la catastrofe economica (le riforme
sarebbero necessarie e chi le sta fronteggiando ci spinge
colpevolmente verso il default) e l'anarchia (Renzi lotterebbe contro
un sistema politico che è la vera causa della nostra attuale
povertà). Chiariamo che anarchismo o anarchia non significano Caos.
Quest'ultimo è generato dal crollo del sistema che precede
l'anarchia ed è tanto più rovinoso quanto più era repressivo.
L'anarchia è il governo della competenza. Non ci sono capi significa
che è il problema da risolvere a determinare chi di volta in volta
comanda e non il contrario. Tranquilli, al momento non è ancora
stato realizzato in nessun luogo del mondo e rimane una pura
enunciazione teorica ma ciò va a discapito dell'intelligenza
dell'uomo e non del concetto di anarchia stesso. Affermare che le
Leggi volute dal Premier vanno nella direzione di un miglioramento
della situazione economica italiana sono in contrasto con i dati sul
risanamento del debito pubblico... nonostante il QE, nonostante il
prezzo del petrolio, nonostante la sostanziale debolezza degli
avversari politici di Renzi e mi voglio fermare qua... Avere
realizzato pedissequamente il programma elettorale del Centro Destra
degli ultimi vent'anni non deve distrarre da una amara
considerazione: i suoi contenuti. Sono validi? Perseguibili? Tendono
al miglioramento del benessere del Paese? Se sì, ci si deve
interrogare persino sul valore del ventennio berlusconiano. Il che è
tutto dire... Altro errore profondo è la dimenticanza della
separazione dei poteri nei sistemi democratici. E' il Parlamento che
deve determinare le Leggi e il Governo (apposta si chiama
"esecutivo") le deve trasformare in atti esecutivi. Il
sistema inverso è possibile ma la vera riforma che si dovrebbe
realizzare è quella del passaggio da "democrazia parlamentare"
a "democrazia presidenziale". L'ultima volta, però, in cui
la Storia italiana ha visto una persona sola al comando non mi pare
le cose siano andate troppo bene... Per quanto concerne il problema
della minoranza Dem è che è formata da politici di professione che
non vogliono certo tornare a lavorare come i comuni mortali. Per la
carità, anche la maggioranza Dem è fatta così ma sono tutti
allineati e coperti sulla posizione del capo e nessuno di loro
rischia così il posto. La situazione è fluida. L'attuale lotta di
potere che si consuma nei palazzi romani, purtroppo, manca di un
fattore fondamentale: i cittadini. L'Italia si trova tra l'incudine
ed il martello e può solo prendere botte. Renzi o non Renzi.
Minoranza Dem o non Dem. Tutto ciò frega assai poco. Lavoro e
benessere non ci sono e non ci saranno per moltissimi anni a venire e
lo spettacolo virtuale delle istituzioni democratiche "rottamate"
non cambiano di una virgola tale situazione. Basti pensare che
anziché promuovere, difendere e valorizzare il marchio "made in
Italy" (l'unica arma economica che abbiamo in grado di fare un
vero terremoto economico sul Pil) abbiamo dormito (nella migliore
delle ipotesi) o ci siamo (si sono) fatti corrompere per cancellarlo
dall'agenda UE e, di fatto, mortificarne ogni obiettivo con trattati
vergognosi come ad esempio il TTIP. Il nostro Premier è uno dei
tanti (troppi) pessimi politici che sono causa del nostro (attuale)
male. L'opposizione non è certo migliore. Possiamo solo piangere noi
stessi...
giovedì 30 aprile 2015
lunedì 13 aprile 2015
Neocon e non Neolib
Se
alle parole vogliamo dare il loro giusto significato allora è bene
che chiariamo le differenze tra “capitalismo” e “liberismo”.
Pur se per lungo tempo sono stati considerati sinonimi le differenze
storiche e filosofiche tra le due scienze economiche sono profonde e
nette. Per il capitalismo il capitale è l'unica legge che conta. Chi
ne possiede di più trova delle autostrade aperte ad ogni sua
iniziativa. Il mondo, il Nuovo Ordine Mondiale prefigurato da un
capitalista puro è quello in cui sempre più pochi hanno diritto ad
avere tutto e il rimanente della popolazione mondiale sguazza nella
propria debolezza, incompetenza, assenza di virtù e stupidità. Il
liberismo propugna l'abbandono da parte dello Stato di tutte quelle
attività che “possono essere oggetto di iniziativa privata e
d'impresa”. La vera ed unica parola d'ordine del liberista lo è la
competizione. Riconoscendo all'impresa un suo ruolo determinante
nella fondazione della società teorizza un mercato che si
autoregolamenta in funzione dei bisogni dei consumatori ricavando da
essi lo stimolo ad una produzione quantitativa e di qualità. Nessun
liberista propugnerebbe l'esistenza di un oligopolio o di un
monopolio, così come la sostituzione dello Stato in quelle
caratteristiche che gli sono proprie (la Difesa, ad esempio). Lo
spartiacque tra le due filosofie economiche si è avuto con la seria
applicazione della legge Antitrust e Theodore Roosevelt (che era
liberista). Egli intraprese fin dal 1902 la “rottura dei monopoli”
riprendendo i termini della “Sherman Antitrust Act” (la prima
legge Americana sull’antitrust del 1890), dando vita alla prima
causa di successo sull’antitrust contro la Northern Securities
Company e guidò l’attacco ad un gran numero di altri monopoli. Nel
1935 il presidente F. Delano Roosevelt, sotto la pressione dei gruppi
antimonopolistici, cercò anche di limitare il potere delle grandi
concentrazioni industriali: nel 1935 fu approvato il Public Utilities
Holding Companies Act, che prevedeva fra l'altro lo smantellamento di
alcune holding finanziarie, e una legge fiscale per l'introduzione di
un'imposta progressiva sui profitti delle società. Nel 1938 fu
istituita presso il ministero della Giustizia l'Antitrust Division.
Diamo, dunque, alle cose il loro giusto nome oppure stiamo facendo
manipolazione politica. Nulla di sbagliato ma almeno confessiamolo
candidamente.
Pier Giorgio Tomatis
lunedì 6 aprile 2015
L'obsolescenza politica programmata
L'obsolescenza
programmata, per chi ancora non conoscesse il suo significato, è
quella strategia economica studiata e praticata dalle aziende (in
tacito regime di oligopolio) per ridurre il tempo che intercorre tra
acquisti ripetuti. In buona sostanza, il produttore cerca di far
durare il suo prodotto per un periodo di tempo ben definito
(ingannando il consumatore al quale conta di tornare a vendere
nuovamente l'oggetto acquistato) sapendo comunque di poterlo
costruire meglio, con una resistenza e conservazione decisamente
migliore. Facciamo l'esempio di un elettrodomestico, di una
lavatrice. L'azienda produttrice programma (volutamente) la rottura
di un componente dopo un tot numero di lavaggi allo scopo di
costringere l'acquirente a preventivare un nuovo acquisto per ovviare
al problema. In modo tale il ciclo si ripete e il produttore anziché
vendere a chi non ha la lavatrice (ma il problema è che il più
delle volte non ha nemmeno i soldi per poterla comperare) continua a
proporla a chi ne ha già una. In politica, credo sia la prima volta
che si fa questo accostamento, sembra esistere l'obsolescenza
politica programmata. Alcune Leggi, alcuni Partiti, alcuni esponenti,
vengono proposti e riproposti ad oltranza nonostante siano la
fotocopia esatta di ciò che si prefigurano di sostituire e
migliorare. Perché, in realtà, l'obiettivo è palesemente quello di
perpetuare un ciclo di vendita programmato da una élite
oligopolistica. Nonostante esistano modi per rompere questo criminale
circuito chiuso (il voto è pur sempre libero o no?) i cittadini
vengono costantemente allettati da nuove forme, colori, suoni e
profumi di quello che però è il “vecchio”, la ripetizione
infinita, la sequenza continua di un errore. Per questo motivo, sono
portato a pensare che le cose, in Italia, cambieranno solo se la
mentalità della massa cambierà. Non basta urlare la propria
indignazione per essere indignati. Non basta piangere per essere
addolorati. Non basta criticare per essere polemici. Occorrono
azioni, fatti concreti e la consapevolezza che se vogliamo cambiare
le cose attorno a noi dobbiamo essere i primi a trasformarci e a
modificare il nostro modello di vita. Se non lo facciamo, lo faranno
altri e i mezzi che useranno per tenerci buoni, legati al guinzaglio,
li conosciamo bene. Tutti.
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