giovedì 30 aprile 2015

Il rottame





Quanto sta accadendo in Parlamento con la discussione ed il voto sulla Legge elettorale è sintomatico della crisi economica ma anche politica che stiamo vivendo. L'arroganza del Premier decisionista e asfaltatore e il suo entourage di yes-men lascia sconcertati. Lo spauracchio agitato davanti agli occhi dell'opinione pubblica è la catastrofe economica (le riforme sarebbero necessarie e chi le sta fronteggiando ci spinge colpevolmente verso il default) e l'anarchia (Renzi lotterebbe contro un sistema politico che è la vera causa della nostra attuale povertà). Chiariamo che anarchismo o anarchia non significano Caos. Quest'ultimo è generato dal crollo del sistema che precede l'anarchia ed è tanto più rovinoso quanto più era repressivo. L'anarchia è il governo della competenza. Non ci sono capi significa che è il problema da risolvere a determinare chi di volta in volta comanda e non il contrario. Tranquilli, al momento non è ancora stato realizzato in nessun luogo del mondo e rimane una pura enunciazione teorica ma ciò va a discapito dell'intelligenza dell'uomo e non del concetto di anarchia stesso. Affermare che le Leggi volute dal Premier vanno nella direzione di un miglioramento della situazione economica italiana sono in contrasto con i dati sul risanamento del debito pubblico... nonostante il QE, nonostante il prezzo del petrolio, nonostante la sostanziale debolezza degli avversari politici di Renzi e mi voglio fermare qua... Avere realizzato pedissequamente il programma elettorale del Centro Destra degli ultimi vent'anni non deve distrarre da una amara considerazione: i suoi contenuti. Sono validi? Perseguibili? Tendono al miglioramento del benessere del Paese? Se sì, ci si deve interrogare persino sul valore del ventennio berlusconiano. Il che è tutto dire... Altro errore profondo è la dimenticanza della separazione dei poteri nei sistemi democratici. E' il Parlamento che deve determinare le Leggi e il Governo (apposta si chiama "esecutivo") le deve trasformare in atti esecutivi. Il sistema inverso è possibile ma la vera riforma che si dovrebbe realizzare è quella del passaggio da "democrazia parlamentare" a "democrazia presidenziale". L'ultima volta, però, in cui la Storia italiana ha visto una persona sola al comando non mi pare le cose siano andate troppo bene... Per quanto concerne il problema della minoranza Dem è che è formata da politici di professione che non vogliono certo tornare a lavorare come i comuni mortali. Per la carità, anche la maggioranza Dem è fatta così ma sono tutti allineati e coperti sulla posizione del capo e nessuno di loro rischia così il posto. La situazione è fluida. L'attuale lotta di potere che si consuma nei palazzi romani, purtroppo, manca di un fattore fondamentale: i cittadini. L'Italia si trova tra l'incudine ed il martello e può solo prendere botte. Renzi o non Renzi. Minoranza Dem o non Dem. Tutto ciò frega assai poco. Lavoro e benessere non ci sono e non ci saranno per moltissimi anni a venire e lo spettacolo virtuale delle istituzioni democratiche "rottamate" non cambiano di una virgola tale situazione. Basti pensare che anziché promuovere, difendere e valorizzare il marchio "made in Italy" (l'unica arma economica che abbiamo in grado di fare un vero terremoto economico sul Pil) abbiamo dormito (nella migliore delle ipotesi) o ci siamo (si sono) fatti corrompere per cancellarlo dall'agenda UE e, di fatto, mortificarne ogni obiettivo con trattati vergognosi come ad esempio il TTIP. Il nostro Premier è uno dei tanti (troppi) pessimi politici che sono causa del nostro (attuale) male. L'opposizione non è certo migliore. Possiamo solo piangere noi stessi...

lunedì 13 aprile 2015

Neocon e non Neolib





Se alle parole vogliamo dare il loro giusto significato allora è bene che chiariamo le differenze tra “capitalismo” e “liberismo”. Pur se per lungo tempo sono stati considerati sinonimi le differenze storiche e filosofiche tra le due scienze economiche sono profonde e nette. Per il capitalismo il capitale è l'unica legge che conta. Chi ne possiede di più trova delle autostrade aperte ad ogni sua iniziativa. Il mondo, il Nuovo Ordine Mondiale prefigurato da un capitalista puro è quello in cui sempre più pochi hanno diritto ad avere tutto e il rimanente della popolazione mondiale sguazza nella propria debolezza, incompetenza, assenza di virtù e stupidità. Il liberismo propugna l'abbandono da parte dello Stato di tutte quelle attività che “possono essere oggetto di iniziativa privata e d'impresa”. La vera ed unica parola d'ordine del liberista lo è la competizione. Riconoscendo all'impresa un suo ruolo determinante nella fondazione della società teorizza un mercato che si autoregolamenta in funzione dei bisogni dei consumatori ricavando da essi lo stimolo ad una produzione quantitativa e di qualità. Nessun liberista propugnerebbe l'esistenza di un oligopolio o di un monopolio, così come la sostituzione dello Stato in quelle caratteristiche che gli sono proprie (la Difesa, ad esempio). Lo spartiacque tra le due filosofie economiche si è avuto con la seria applicazione della legge Antitrust e Theodore Roosevelt (che era liberista). Egli intraprese fin dal 1902 la “rottura dei monopoli” riprendendo i termini della “Sherman Antitrust Act” (la prima legge Americana sull’antitrust del 1890), dando vita alla prima causa di successo sull’antitrust contro la Northern Securities Company e guidò l’attacco ad un gran numero di altri monopoli. Nel 1935 il presidente F. Delano Roosevelt, sotto la pressione dei gruppi antimonopolistici, cercò anche di limitare il potere delle grandi concentrazioni industriali: nel 1935 fu approvato il Public Utilities Holding Companies Act, che prevedeva fra l'altro lo smantellamento di alcune holding finanziarie, e una legge fiscale per l'introduzione di un'imposta progressiva sui profitti delle società. Nel 1938 fu istituita presso il ministero della Giustizia l'Antitrust Division. Diamo, dunque, alle cose il loro giusto nome oppure stiamo facendo manipolazione politica. Nulla di sbagliato ma almeno confessiamolo candidamente.
Pier Giorgio Tomatis

lunedì 6 aprile 2015

L'obsolescenza politica programmata





L'obsolescenza programmata, per chi ancora non conoscesse il suo significato, è quella strategia economica studiata e praticata dalle aziende (in tacito regime di oligopolio) per ridurre il tempo che intercorre tra acquisti ripetuti. In buona sostanza, il produttore cerca di far durare il suo prodotto per un periodo di tempo ben definito (ingannando il consumatore al quale conta di tornare a vendere nuovamente l'oggetto acquistato) sapendo comunque di poterlo costruire meglio, con una resistenza e conservazione decisamente migliore. Facciamo l'esempio di un elettrodomestico, di una lavatrice. L'azienda produttrice programma (volutamente) la rottura di un componente dopo un tot numero di lavaggi allo scopo di costringere l'acquirente a preventivare un nuovo acquisto per ovviare al problema. In modo tale il ciclo si ripete e il produttore anziché vendere a chi non ha la lavatrice (ma il problema è che il più delle volte non ha nemmeno i soldi per poterla comperare) continua a proporla a chi ne ha già una. In politica, credo sia la prima volta che si fa questo accostamento, sembra esistere l'obsolescenza politica programmata. Alcune Leggi, alcuni Partiti, alcuni esponenti, vengono proposti e riproposti ad oltranza nonostante siano la fotocopia esatta di ciò che si prefigurano di sostituire e migliorare. Perché, in realtà, l'obiettivo è palesemente quello di perpetuare un ciclo di vendita programmato da una élite oligopolistica. Nonostante esistano modi per rompere questo criminale circuito chiuso (il voto è pur sempre libero o no?) i cittadini vengono costantemente allettati da nuove forme, colori, suoni e profumi di quello che però è il “vecchio”, la ripetizione infinita, la sequenza continua di un errore. Per questo motivo, sono portato a pensare che le cose, in Italia, cambieranno solo se la mentalità della massa cambierà. Non basta urlare la propria indignazione per essere indignati. Non basta piangere per essere addolorati. Non basta criticare per essere polemici. Occorrono azioni, fatti concreti e la consapevolezza che se vogliamo cambiare le cose attorno a noi dobbiamo essere i primi a trasformarci e a modificare il nostro modello di vita. Se non lo facciamo, lo faranno altri e i mezzi che useranno per tenerci buoni, legati al guinzaglio, li conosciamo bene. Tutti.