Chiediamo
scusa al Presidente del Consiglio Renzi ed alla Maggioranza che
governa il Paese e amministra diverse città. Abbiamo equivocato il
significato di una parola che fin dall'inizio ha caratterizzato il
vostro operato. Quando vi siete presentati agli elettori ed ai Media
come “Rottamatori” pensavamo (sbagliando) che voleste svecchiare
le Istituzioni (uomini e cose) sostituendole con le equivalenti più
giovani, innovative, efficienti. Ci siamo sbagliati e siamo disposti
a recitare il “mea culpa”. La rottamazione di cui avete parlato
fino ad oggi è quella che fa parte delle mansioni di un Curatore
Fallimentare. Ecco quello che siete e fate: Giudici che periziano le
proprietà a disposizione e che accompagnano l'azienda verso il
“dolce oblio”. In quest'ottica, la Riforma Sanitaria che avete
predisposto imbastardirà un Servizio che lo Stato dovrebbe fornire a
fronte del pagamento delle Tasse, proprio quelle che ci rendono i più
esosi riscossori d'Europa. L'obiettivo di voi curatori fallimentari,
è però altro. Volete fare affondare l'Azienda parandone il più
possibile la caduta sulle terga, con il maggior numero di cuscini
possibili. L'utenza, la cittadinanza sono termini che non sono vuoti
ma che avete svilito, deperito e debilitato a vostro uso e consumo.
Con l'Expo ci avete detto di voler nutrire il mondo e agli italiani
state dando la purga. Complimenti. Avete preparato il testamento
della Sanità? Bene, sporcatevi le mani votandovelo da soli.
martedì 13 ottobre 2015
lunedì 25 maggio 2015
Quando i comunisti mangiavano i bambini
Le
elezioni spagnole hanno confermato (se mai ve ne fosse stato bisogno)
che, nei Paesi poveri, quando la Sinistra fa la Sinistra vince. Oltre
al Paese iberico, i post-comunisti hanno ottenuto la maggioranza
anche in Grecia e dovunque si sia votato negli ultimi anni. In
autunno, si voterà in un altro Paese del cosiddetto PIIGS: il
Portogallo. Persino in Inghilterra (che Paese povero non è), dove a
vincere è stato il Partito Conservatore, la Sinistra ha aumentato il
suo bottino elettorale rispetto alle elezioni precedenti. E,
ciononostante, il suo candidato Premier si è dimesso come se avesse
subito chissà quale disfatta. Tutt'altra cultura rispetto a quella
italiana dove un Partito è passato dal 22 al 4% e ancora discute su
quale riassetto occorra fare. In questo periodo di crisi,
all'elettorato europeo sembra piacere riscoprirsi piazzaiolo e
contestatore, rivendicatore di diritti defraudati da politiche
finanziarie sbagliate ed inique. L'unico Paese nel quale governa un
Partito storico della Sinistra e vengono approvate norme, Leggi e
Riforme di Destra... è l'Italia. Nel Belpaese alle sirene di Syriza
o di Podemos si antepongono quelle dei burocrati di Bruxellese e
della Kancelliera tedesca. La Nazione che ha gli abitanti più
intolleranti alla disciplina ed alle regole cerca di darsi un tono e
di professarsi rigoroso nei conti prima ancora che nella moralità e
nell'etica finanziaria. Ancora una volta, l'Italia va controcorrente
e sfida la forza degli elementi navigando controvento. Le politiche
di rigore che “stanno spezzando le reni alla Grecia” (e non solo)
non producono né benessere né crescita del Pil ma sembrano essere
l'unico imperativo da seguire. A questo proposito, mi torna in mente
una vecchia e cinica barzelletta attraverso la quale si può
costruire una perfetta analogia con la situazione italiana. Una
equipe medico-chirurgica esce dalla sala operatoria per incontrare i
familiari del paziente. Un medico rassicura subito tutti esclamando:
“l'operazione è perfettamente riuscita ma il malato è morto”.
Ecco, è così che l'Europa si avvia ad affrontare i prossimi lunghi mesi.
Il malato morirà o si cambierà (finalmente) il modo di operare?
domenica 24 maggio 2015
giovedì 30 aprile 2015
Il rottame
Quanto sta accadendo in Parlamento con
la discussione ed il voto sulla Legge elettorale è sintomatico della
crisi economica ma anche politica che stiamo vivendo. L'arroganza del
Premier decisionista e asfaltatore e il suo entourage di yes-men
lascia sconcertati. Lo spauracchio agitato davanti agli occhi
dell'opinione pubblica è la catastrofe economica (le riforme
sarebbero necessarie e chi le sta fronteggiando ci spinge
colpevolmente verso il default) e l'anarchia (Renzi lotterebbe contro
un sistema politico che è la vera causa della nostra attuale
povertà). Chiariamo che anarchismo o anarchia non significano Caos.
Quest'ultimo è generato dal crollo del sistema che precede
l'anarchia ed è tanto più rovinoso quanto più era repressivo.
L'anarchia è il governo della competenza. Non ci sono capi significa
che è il problema da risolvere a determinare chi di volta in volta
comanda e non il contrario. Tranquilli, al momento non è ancora
stato realizzato in nessun luogo del mondo e rimane una pura
enunciazione teorica ma ciò va a discapito dell'intelligenza
dell'uomo e non del concetto di anarchia stesso. Affermare che le
Leggi volute dal Premier vanno nella direzione di un miglioramento
della situazione economica italiana sono in contrasto con i dati sul
risanamento del debito pubblico... nonostante il QE, nonostante il
prezzo del petrolio, nonostante la sostanziale debolezza degli
avversari politici di Renzi e mi voglio fermare qua... Avere
realizzato pedissequamente il programma elettorale del Centro Destra
degli ultimi vent'anni non deve distrarre da una amara
considerazione: i suoi contenuti. Sono validi? Perseguibili? Tendono
al miglioramento del benessere del Paese? Se sì, ci si deve
interrogare persino sul valore del ventennio berlusconiano. Il che è
tutto dire... Altro errore profondo è la dimenticanza della
separazione dei poteri nei sistemi democratici. E' il Parlamento che
deve determinare le Leggi e il Governo (apposta si chiama
"esecutivo") le deve trasformare in atti esecutivi. Il
sistema inverso è possibile ma la vera riforma che si dovrebbe
realizzare è quella del passaggio da "democrazia parlamentare"
a "democrazia presidenziale". L'ultima volta, però, in cui
la Storia italiana ha visto una persona sola al comando non mi pare
le cose siano andate troppo bene... Per quanto concerne il problema
della minoranza Dem è che è formata da politici di professione che
non vogliono certo tornare a lavorare come i comuni mortali. Per la
carità, anche la maggioranza Dem è fatta così ma sono tutti
allineati e coperti sulla posizione del capo e nessuno di loro
rischia così il posto. La situazione è fluida. L'attuale lotta di
potere che si consuma nei palazzi romani, purtroppo, manca di un
fattore fondamentale: i cittadini. L'Italia si trova tra l'incudine
ed il martello e può solo prendere botte. Renzi o non Renzi.
Minoranza Dem o non Dem. Tutto ciò frega assai poco. Lavoro e
benessere non ci sono e non ci saranno per moltissimi anni a venire e
lo spettacolo virtuale delle istituzioni democratiche "rottamate"
non cambiano di una virgola tale situazione. Basti pensare che
anziché promuovere, difendere e valorizzare il marchio "made in
Italy" (l'unica arma economica che abbiamo in grado di fare un
vero terremoto economico sul Pil) abbiamo dormito (nella migliore
delle ipotesi) o ci siamo (si sono) fatti corrompere per cancellarlo
dall'agenda UE e, di fatto, mortificarne ogni obiettivo con trattati
vergognosi come ad esempio il TTIP. Il nostro Premier è uno dei
tanti (troppi) pessimi politici che sono causa del nostro (attuale)
male. L'opposizione non è certo migliore. Possiamo solo piangere noi
stessi...
lunedì 13 aprile 2015
Neocon e non Neolib
Se
alle parole vogliamo dare il loro giusto significato allora è bene
che chiariamo le differenze tra “capitalismo” e “liberismo”.
Pur se per lungo tempo sono stati considerati sinonimi le differenze
storiche e filosofiche tra le due scienze economiche sono profonde e
nette. Per il capitalismo il capitale è l'unica legge che conta. Chi
ne possiede di più trova delle autostrade aperte ad ogni sua
iniziativa. Il mondo, il Nuovo Ordine Mondiale prefigurato da un
capitalista puro è quello in cui sempre più pochi hanno diritto ad
avere tutto e il rimanente della popolazione mondiale sguazza nella
propria debolezza, incompetenza, assenza di virtù e stupidità. Il
liberismo propugna l'abbandono da parte dello Stato di tutte quelle
attività che “possono essere oggetto di iniziativa privata e
d'impresa”. La vera ed unica parola d'ordine del liberista lo è la
competizione. Riconoscendo all'impresa un suo ruolo determinante
nella fondazione della società teorizza un mercato che si
autoregolamenta in funzione dei bisogni dei consumatori ricavando da
essi lo stimolo ad una produzione quantitativa e di qualità. Nessun
liberista propugnerebbe l'esistenza di un oligopolio o di un
monopolio, così come la sostituzione dello Stato in quelle
caratteristiche che gli sono proprie (la Difesa, ad esempio). Lo
spartiacque tra le due filosofie economiche si è avuto con la seria
applicazione della legge Antitrust e Theodore Roosevelt (che era
liberista). Egli intraprese fin dal 1902 la “rottura dei monopoli”
riprendendo i termini della “Sherman Antitrust Act” (la prima
legge Americana sull’antitrust del 1890), dando vita alla prima
causa di successo sull’antitrust contro la Northern Securities
Company e guidò l’attacco ad un gran numero di altri monopoli. Nel
1935 il presidente F. Delano Roosevelt, sotto la pressione dei gruppi
antimonopolistici, cercò anche di limitare il potere delle grandi
concentrazioni industriali: nel 1935 fu approvato il Public Utilities
Holding Companies Act, che prevedeva fra l'altro lo smantellamento di
alcune holding finanziarie, e una legge fiscale per l'introduzione di
un'imposta progressiva sui profitti delle società. Nel 1938 fu
istituita presso il ministero della Giustizia l'Antitrust Division.
Diamo, dunque, alle cose il loro giusto nome oppure stiamo facendo
manipolazione politica. Nulla di sbagliato ma almeno confessiamolo
candidamente.
Pier Giorgio Tomatis
lunedì 6 aprile 2015
L'obsolescenza politica programmata
L'obsolescenza
programmata, per chi ancora non conoscesse il suo significato, è
quella strategia economica studiata e praticata dalle aziende (in
tacito regime di oligopolio) per ridurre il tempo che intercorre tra
acquisti ripetuti. In buona sostanza, il produttore cerca di far
durare il suo prodotto per un periodo di tempo ben definito
(ingannando il consumatore al quale conta di tornare a vendere
nuovamente l'oggetto acquistato) sapendo comunque di poterlo
costruire meglio, con una resistenza e conservazione decisamente
migliore. Facciamo l'esempio di un elettrodomestico, di una
lavatrice. L'azienda produttrice programma (volutamente) la rottura
di un componente dopo un tot numero di lavaggi allo scopo di
costringere l'acquirente a preventivare un nuovo acquisto per ovviare
al problema. In modo tale il ciclo si ripete e il produttore anziché
vendere a chi non ha la lavatrice (ma il problema è che il più
delle volte non ha nemmeno i soldi per poterla comperare) continua a
proporla a chi ne ha già una. In politica, credo sia la prima volta
che si fa questo accostamento, sembra esistere l'obsolescenza
politica programmata. Alcune Leggi, alcuni Partiti, alcuni esponenti,
vengono proposti e riproposti ad oltranza nonostante siano la
fotocopia esatta di ciò che si prefigurano di sostituire e
migliorare. Perché, in realtà, l'obiettivo è palesemente quello di
perpetuare un ciclo di vendita programmato da una élite
oligopolistica. Nonostante esistano modi per rompere questo criminale
circuito chiuso (il voto è pur sempre libero o no?) i cittadini
vengono costantemente allettati da nuove forme, colori, suoni e
profumi di quello che però è il “vecchio”, la ripetizione
infinita, la sequenza continua di un errore. Per questo motivo, sono
portato a pensare che le cose, in Italia, cambieranno solo se la
mentalità della massa cambierà. Non basta urlare la propria
indignazione per essere indignati. Non basta piangere per essere
addolorati. Non basta criticare per essere polemici. Occorrono
azioni, fatti concreti e la consapevolezza che se vogliamo cambiare
le cose attorno a noi dobbiamo essere i primi a trasformarci e a
modificare il nostro modello di vita. Se non lo facciamo, lo faranno
altri e i mezzi che useranno per tenerci buoni, legati al guinzaglio,
li conosciamo bene. Tutti.
martedì 24 marzo 2015
Cine-amatori
Facciamocene una ragione. La Pirelli ha
una proprietà che non è più solo a maggioranza italiana. La
ChemChina è entrata nella stanza dei bottoni della società
meneghina. Chi trema di fronte a questa novità economica (che è
molto diversa da quella di Fiat/Chrysler) deve farsene una ragione ed
abituarsi all'idea. Seguiranno altri casi come questo. E'
inevitabile. Il trend di crescita degli investimenti non sta in
Italia ma nei ricchi Paesi dell'Opec, dell'India e appunto della
Cina. Ad iniziare la rivoluzione che è oggi sotto gli occhi di tutti
è stata Margaret Thatcher. In modo massiccio, nella sua seconda
legislatura come Primo Ministro, la Lady di Ferro vendette i gioielli
dell'economia inglese e le case di proprietà pubblica agli inquilini
che ci abitavano. I suoi stessi compagni di Partito definirono questo
“liberismo” spinto come una vendita “dell'argenteria” di
famiglia. La sua uscita di scena è stata determinata da uno
scrutinio interno dopo una insanabile frattura dovuta alle dimissioni
del ministro degli esteri Geoffrey Howe. I suoi stessi “amici” la
accusavano di essere, con la sua intransigenza, la causa di un
completo isolamento del paese nei preliminari della conferenza che
avrebbe dovuto sancire il trattato di Maastricht. Oggi, James Cameron
vorrebbe portare il Paese fuori dell'Europa con un referendum. La
Thatcher, evidentemente, non era poi così poco lungimirante. Bene,
la Primo Ministro combatteva a muso duro le critiche alle
liberalizzazioni ed alla vendita delle storiche industrie inglesi con
un concetto tanto semplice quanto inattaccabile: non è importante
chi ha la proprietà dell'azienda quanto il lavoro che il consiglio
di amministrazione deve saper dare. Questo è il vero banco di prova
di un'azienda. Non è importante, quindi, se la Pirelli è di
Tronchetti Provera, di Unicredit o di Intesa San Paolo ma se le
produzioni rimarranno in Italia e se l'occupazione crescerà. Questo
è il vero nodo cruciale dell'operazione. I disastri economici sanno
farli gli stranieri allo stesso modo degli italiani. L'Ilva di
Taranto, dopotutto, era di proprietà della famiglia Riva. Nessuno ha
la sfera di cristallo ed è perciò stupido ipotizzare il futuro
della Pirelli con assoluta certezza. Giudichiamo l'operazione in base
ai risultati operativi (economici e non solo monetari).
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