martedì 13 ottobre 2015

Il rottame



Chiediamo scusa al Presidente del Consiglio Renzi ed alla Maggioranza che governa il Paese e amministra diverse città. Abbiamo equivocato il significato di una parola che fin dall'inizio ha caratterizzato il vostro operato. Quando vi siete presentati agli elettori ed ai Media come “Rottamatori” pensavamo (sbagliando) che voleste svecchiare le Istituzioni (uomini e cose) sostituendole con le equivalenti più giovani, innovative, efficienti. Ci siamo sbagliati e siamo disposti a recitare il “mea culpa”. La rottamazione di cui avete parlato fino ad oggi è quella che fa parte delle mansioni di un Curatore Fallimentare. Ecco quello che siete e fate: Giudici che periziano le proprietà a disposizione e che accompagnano l'azienda verso il “dolce oblio”. In quest'ottica, la Riforma Sanitaria che avete predisposto imbastardirà un Servizio che lo Stato dovrebbe fornire a fronte del pagamento delle Tasse, proprio quelle che ci rendono i più esosi riscossori d'Europa. L'obiettivo di voi curatori fallimentari, è però altro. Volete fare affondare l'Azienda parandone il più possibile la caduta sulle terga, con il maggior numero di cuscini possibili. L'utenza, la cittadinanza sono termini che non sono vuoti ma che avete svilito, deperito e debilitato a vostro uso e consumo. Con l'Expo ci avete detto di voler nutrire il mondo e agli italiani state dando la purga. Complimenti. Avete preparato il testamento della Sanità? Bene, sporcatevi le mani votandovelo da soli. 

lunedì 25 maggio 2015

Quando i comunisti mangiavano i bambini




Le elezioni spagnole hanno confermato (se mai ve ne fosse stato bisogno) che, nei Paesi poveri, quando la Sinistra fa la Sinistra vince. Oltre al Paese iberico, i post-comunisti hanno ottenuto la maggioranza anche in Grecia e dovunque si sia votato negli ultimi anni. In autunno, si voterà in un altro Paese del cosiddetto PIIGS: il Portogallo. Persino in Inghilterra (che Paese povero non è), dove a vincere è stato il Partito Conservatore, la Sinistra ha aumentato il suo bottino elettorale rispetto alle elezioni precedenti. E, ciononostante, il suo candidato Premier si è dimesso come se avesse subito chissà quale disfatta. Tutt'altra cultura rispetto a quella italiana dove un Partito è passato dal 22 al 4% e ancora discute su quale riassetto occorra fare. In questo periodo di crisi, all'elettorato europeo sembra piacere riscoprirsi piazzaiolo e contestatore, rivendicatore di diritti defraudati da politiche finanziarie sbagliate ed inique. L'unico Paese nel quale governa un Partito storico della Sinistra e vengono approvate norme, Leggi e Riforme di Destra... è l'Italia. Nel Belpaese alle sirene di Syriza o di Podemos si antepongono quelle dei burocrati di Bruxellese e della Kancelliera tedesca. La Nazione che ha gli abitanti più intolleranti alla disciplina ed alle regole cerca di darsi un tono e di professarsi rigoroso nei conti prima ancora che nella moralità e nell'etica finanziaria. Ancora una volta, l'Italia va controcorrente e sfida la forza degli elementi navigando controvento. Le politiche di rigore che “stanno spezzando le reni alla Grecia” (e non solo) non producono né benessere né crescita del Pil ma sembrano essere l'unico imperativo da seguire. A questo proposito, mi torna in mente una vecchia e cinica barzelletta attraverso la quale si può costruire una perfetta analogia con la situazione italiana. Una equipe medico-chirurgica esce dalla sala operatoria per incontrare i familiari del paziente. Un medico rassicura subito tutti esclamando: “l'operazione è perfettamente riuscita ma il malato è morto”. Ecco, è così che l'Europa si avvia ad affrontare i prossimi lunghi mesi. Il malato morirà o si cambierà (finalmente) il modo di operare?

domenica 24 maggio 2015

giovedì 30 aprile 2015

Il rottame





Quanto sta accadendo in Parlamento con la discussione ed il voto sulla Legge elettorale è sintomatico della crisi economica ma anche politica che stiamo vivendo. L'arroganza del Premier decisionista e asfaltatore e il suo entourage di yes-men lascia sconcertati. Lo spauracchio agitato davanti agli occhi dell'opinione pubblica è la catastrofe economica (le riforme sarebbero necessarie e chi le sta fronteggiando ci spinge colpevolmente verso il default) e l'anarchia (Renzi lotterebbe contro un sistema politico che è la vera causa della nostra attuale povertà). Chiariamo che anarchismo o anarchia non significano Caos. Quest'ultimo è generato dal crollo del sistema che precede l'anarchia ed è tanto più rovinoso quanto più era repressivo. L'anarchia è il governo della competenza. Non ci sono capi significa che è il problema da risolvere a determinare chi di volta in volta comanda e non il contrario. Tranquilli, al momento non è ancora stato realizzato in nessun luogo del mondo e rimane una pura enunciazione teorica ma ciò va a discapito dell'intelligenza dell'uomo e non del concetto di anarchia stesso. Affermare che le Leggi volute dal Premier vanno nella direzione di un miglioramento della situazione economica italiana sono in contrasto con i dati sul risanamento del debito pubblico... nonostante il QE, nonostante il prezzo del petrolio, nonostante la sostanziale debolezza degli avversari politici di Renzi e mi voglio fermare qua... Avere realizzato pedissequamente il programma elettorale del Centro Destra degli ultimi vent'anni non deve distrarre da una amara considerazione: i suoi contenuti. Sono validi? Perseguibili? Tendono al miglioramento del benessere del Paese? Se sì, ci si deve interrogare persino sul valore del ventennio berlusconiano. Il che è tutto dire... Altro errore profondo è la dimenticanza della separazione dei poteri nei sistemi democratici. E' il Parlamento che deve determinare le Leggi e il Governo (apposta si chiama "esecutivo") le deve trasformare in atti esecutivi. Il sistema inverso è possibile ma la vera riforma che si dovrebbe realizzare è quella del passaggio da "democrazia parlamentare" a "democrazia presidenziale". L'ultima volta, però, in cui la Storia italiana ha visto una persona sola al comando non mi pare le cose siano andate troppo bene... Per quanto concerne il problema della minoranza Dem è che è formata da politici di professione che non vogliono certo tornare a lavorare come i comuni mortali. Per la carità, anche la maggioranza Dem è fatta così ma sono tutti allineati e coperti sulla posizione del capo e nessuno di loro rischia così il posto. La situazione è fluida. L'attuale lotta di potere che si consuma nei palazzi romani, purtroppo, manca di un fattore fondamentale: i cittadini. L'Italia si trova tra l'incudine ed il martello e può solo prendere botte. Renzi o non Renzi. Minoranza Dem o non Dem. Tutto ciò frega assai poco. Lavoro e benessere non ci sono e non ci saranno per moltissimi anni a venire e lo spettacolo virtuale delle istituzioni democratiche "rottamate" non cambiano di una virgola tale situazione. Basti pensare che anziché promuovere, difendere e valorizzare il marchio "made in Italy" (l'unica arma economica che abbiamo in grado di fare un vero terremoto economico sul Pil) abbiamo dormito (nella migliore delle ipotesi) o ci siamo (si sono) fatti corrompere per cancellarlo dall'agenda UE e, di fatto, mortificarne ogni obiettivo con trattati vergognosi come ad esempio il TTIP. Il nostro Premier è uno dei tanti (troppi) pessimi politici che sono causa del nostro (attuale) male. L'opposizione non è certo migliore. Possiamo solo piangere noi stessi...

lunedì 13 aprile 2015

Neocon e non Neolib





Se alle parole vogliamo dare il loro giusto significato allora è bene che chiariamo le differenze tra “capitalismo” e “liberismo”. Pur se per lungo tempo sono stati considerati sinonimi le differenze storiche e filosofiche tra le due scienze economiche sono profonde e nette. Per il capitalismo il capitale è l'unica legge che conta. Chi ne possiede di più trova delle autostrade aperte ad ogni sua iniziativa. Il mondo, il Nuovo Ordine Mondiale prefigurato da un capitalista puro è quello in cui sempre più pochi hanno diritto ad avere tutto e il rimanente della popolazione mondiale sguazza nella propria debolezza, incompetenza, assenza di virtù e stupidità. Il liberismo propugna l'abbandono da parte dello Stato di tutte quelle attività che “possono essere oggetto di iniziativa privata e d'impresa”. La vera ed unica parola d'ordine del liberista lo è la competizione. Riconoscendo all'impresa un suo ruolo determinante nella fondazione della società teorizza un mercato che si autoregolamenta in funzione dei bisogni dei consumatori ricavando da essi lo stimolo ad una produzione quantitativa e di qualità. Nessun liberista propugnerebbe l'esistenza di un oligopolio o di un monopolio, così come la sostituzione dello Stato in quelle caratteristiche che gli sono proprie (la Difesa, ad esempio). Lo spartiacque tra le due filosofie economiche si è avuto con la seria applicazione della legge Antitrust e Theodore Roosevelt (che era liberista). Egli intraprese fin dal 1902 la “rottura dei monopoli” riprendendo i termini della “Sherman Antitrust Act” (la prima legge Americana sull’antitrust del 1890), dando vita alla prima causa di successo sull’antitrust contro la Northern Securities Company e guidò l’attacco ad un gran numero di altri monopoli. Nel 1935 il presidente F. Delano Roosevelt, sotto la pressione dei gruppi antimonopolistici, cercò anche di limitare il potere delle grandi concentrazioni industriali: nel 1935 fu approvato il Public Utilities Holding Companies Act, che prevedeva fra l'altro lo smantellamento di alcune holding finanziarie, e una legge fiscale per l'introduzione di un'imposta progressiva sui profitti delle società. Nel 1938 fu istituita presso il ministero della Giustizia l'Antitrust Division. Diamo, dunque, alle cose il loro giusto nome oppure stiamo facendo manipolazione politica. Nulla di sbagliato ma almeno confessiamolo candidamente.
Pier Giorgio Tomatis

lunedì 6 aprile 2015

L'obsolescenza politica programmata





L'obsolescenza programmata, per chi ancora non conoscesse il suo significato, è quella strategia economica studiata e praticata dalle aziende (in tacito regime di oligopolio) per ridurre il tempo che intercorre tra acquisti ripetuti. In buona sostanza, il produttore cerca di far durare il suo prodotto per un periodo di tempo ben definito (ingannando il consumatore al quale conta di tornare a vendere nuovamente l'oggetto acquistato) sapendo comunque di poterlo costruire meglio, con una resistenza e conservazione decisamente migliore. Facciamo l'esempio di un elettrodomestico, di una lavatrice. L'azienda produttrice programma (volutamente) la rottura di un componente dopo un tot numero di lavaggi allo scopo di costringere l'acquirente a preventivare un nuovo acquisto per ovviare al problema. In modo tale il ciclo si ripete e il produttore anziché vendere a chi non ha la lavatrice (ma il problema è che il più delle volte non ha nemmeno i soldi per poterla comperare) continua a proporla a chi ne ha già una. In politica, credo sia la prima volta che si fa questo accostamento, sembra esistere l'obsolescenza politica programmata. Alcune Leggi, alcuni Partiti, alcuni esponenti, vengono proposti e riproposti ad oltranza nonostante siano la fotocopia esatta di ciò che si prefigurano di sostituire e migliorare. Perché, in realtà, l'obiettivo è palesemente quello di perpetuare un ciclo di vendita programmato da una élite oligopolistica. Nonostante esistano modi per rompere questo criminale circuito chiuso (il voto è pur sempre libero o no?) i cittadini vengono costantemente allettati da nuove forme, colori, suoni e profumi di quello che però è il “vecchio”, la ripetizione infinita, la sequenza continua di un errore. Per questo motivo, sono portato a pensare che le cose, in Italia, cambieranno solo se la mentalità della massa cambierà. Non basta urlare la propria indignazione per essere indignati. Non basta piangere per essere addolorati. Non basta criticare per essere polemici. Occorrono azioni, fatti concreti e la consapevolezza che se vogliamo cambiare le cose attorno a noi dobbiamo essere i primi a trasformarci e a modificare il nostro modello di vita. Se non lo facciamo, lo faranno altri e i mezzi che useranno per tenerci buoni, legati al guinzaglio, li conosciamo bene. Tutti.

martedì 24 marzo 2015

Cine-amatori





Facciamocene una ragione. La Pirelli ha una proprietà che non è più solo a maggioranza italiana. La ChemChina è entrata nella stanza dei bottoni della società meneghina. Chi trema di fronte a questa novità economica (che è molto diversa da quella di Fiat/Chrysler) deve farsene una ragione ed abituarsi all'idea. Seguiranno altri casi come questo. E' inevitabile. Il trend di crescita degli investimenti non sta in Italia ma nei ricchi Paesi dell'Opec, dell'India e appunto della Cina. Ad iniziare la rivoluzione che è oggi sotto gli occhi di tutti è stata Margaret Thatcher. In modo massiccio, nella sua seconda legislatura come Primo Ministro, la Lady di Ferro vendette i gioielli dell'economia inglese e le case di proprietà pubblica agli inquilini che ci abitavano. I suoi stessi compagni di Partito definirono questo “liberismo” spinto come una vendita “dell'argenteria” di famiglia. La sua uscita di scena è stata determinata da uno scrutinio interno dopo una insanabile frattura dovuta alle dimissioni del ministro degli esteri Geoffrey Howe. I suoi stessi “amici” la accusavano di essere, con la sua intransigenza, la causa di un completo isolamento del paese nei preliminari della conferenza che avrebbe dovuto sancire il trattato di Maastricht. Oggi, James Cameron vorrebbe portare il Paese fuori dell'Europa con un referendum. La Thatcher, evidentemente, non era poi così poco lungimirante. Bene, la Primo Ministro combatteva a muso duro le critiche alle liberalizzazioni ed alla vendita delle storiche industrie inglesi con un concetto tanto semplice quanto inattaccabile: non è importante chi ha la proprietà dell'azienda quanto il lavoro che il consiglio di amministrazione deve saper dare. Questo è il vero banco di prova di un'azienda. Non è importante, quindi, se la Pirelli è di Tronchetti Provera, di Unicredit o di Intesa San Paolo ma se le produzioni rimarranno in Italia e se l'occupazione crescerà. Questo è il vero nodo cruciale dell'operazione. I disastri economici sanno farli gli stranieri allo stesso modo degli italiani. L'Ilva di Taranto, dopotutto, era di proprietà della famiglia Riva. Nessuno ha la sfera di cristallo ed è perciò stupido ipotizzare il futuro della Pirelli con assoluta certezza. Giudichiamo l'operazione in base ai risultati operativi (economici e non solo monetari).